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Cronaca
«Ho spaccato tutto»: così i "dattaroli" devastavano i fondali dell'Adriatico
Le frasi degli indagati intercettate dalla Guardia Costiera. Da questa mattina, intanto, al via gli interrogatori di garanzia
Giovinazzo - mercoledì 22 ottobre 2025
11.54
«Ho spaccato tutto». «Ma che hai spaccato tutto, c'è ancora da spaccare». «Se ti impegni in poco tempo ne unisci tanti». «Ma quelle che stanno lì sono piccole». «Ma sono parecchi i pezzi che stanno, Filì». Sono solo alcune delle conversazioni intercettate in due anni di indagini da parte della Guardia Costiera di Molfetta.
L'organizzazione, che ha constatato «il coinvolgimento di Vincenzo e Lorenzo Sinigaglia e Pasquale De Cesare, i quali ponevano in essere condotte operative già assunte già dal 2020», è stata pedinata e messa sotto torchio. Per anni avrebbe infatti devastato la costa adriatica, da Molfetta a Barletta, per prelevare il dattero di mare, un mollusco bivalve che cresce nella roccia e del quale è vietato il prelievo proprio per evitare dei danni irreparabili come la desertificazione dei fondali.
«A livello operativo - è scritto nell'ordinanza -, la squadra è composta da un "battelliere", che con la funzione di skipper si occupa della conduzione del natante e di fungere da "palo" per scongiurare l'arrivo della Guardia Costiera». I pescatori, invece, «si immergono coi respiratori subacquei e tramite l'utilizzo di arnesi (martelli e pinze) provvedono alla devastazione del fondale con la distruzione delle rocce, al cui interno crescono i datteri di mare, per il prelievo degli esemplari ricercati».
Un biennio di pedinamenti ha così portato a ricostruire la catena di approvvigionamento, documentando «le operazioni di sbarco nel porto di Molfetta, o presso il molo Pennello». Giunti sulla terraferma, poi, «i mitili venivano depositati dai pescatori in locali nella propria disponibilità (in via Picca, corte Casale, strada vicinale Fondo Favale) e da cui venivano ripartiti ai privati (è il caso del barese Ignazio Larizzi, un tempo ritenuto fedelissimo del boss Antonio Capriati), e ai ricettatori».
Questi ultimi «lo rivendevano a ristoranti, pescherie e banchi vendita» al prezzo di 40-50 euro al chilo all'ingrosso «o usando esercizi commerciali (una officina di via Giovene e un bar in banchina San Domenico) quali luoghi di "distribuzione" del prodotto» venduto fino a 100 euro per l'utente finale. I datteri, chiamati «dattr» o cripticamente «jolly» o «jolletti», sarebbero stati venduti «arrivando a consegne di 10 chili e fornendo la merce già porzionata in buste da 0,5 chili o da 1 chilo».
E «in quest'ambito si colloca» chi «rifornisce i mercati ittici della zona», chi «la pescheria del figlio», ma anche chi, come Savino Damato, «da Margherita di Savoia si rifornisce di prodotto per assicurare le richieste» di numerosi ristoranti e pescherie. Da questa mattina, intanto, prenderanno il via gli interrogatori di garanzia.
L'organizzazione, che ha constatato «il coinvolgimento di Vincenzo e Lorenzo Sinigaglia e Pasquale De Cesare, i quali ponevano in essere condotte operative già assunte già dal 2020», è stata pedinata e messa sotto torchio. Per anni avrebbe infatti devastato la costa adriatica, da Molfetta a Barletta, per prelevare il dattero di mare, un mollusco bivalve che cresce nella roccia e del quale è vietato il prelievo proprio per evitare dei danni irreparabili come la desertificazione dei fondali.
«A livello operativo - è scritto nell'ordinanza -, la squadra è composta da un "battelliere", che con la funzione di skipper si occupa della conduzione del natante e di fungere da "palo" per scongiurare l'arrivo della Guardia Costiera». I pescatori, invece, «si immergono coi respiratori subacquei e tramite l'utilizzo di arnesi (martelli e pinze) provvedono alla devastazione del fondale con la distruzione delle rocce, al cui interno crescono i datteri di mare, per il prelievo degli esemplari ricercati».
Un biennio di pedinamenti ha così portato a ricostruire la catena di approvvigionamento, documentando «le operazioni di sbarco nel porto di Molfetta, o presso il molo Pennello». Giunti sulla terraferma, poi, «i mitili venivano depositati dai pescatori in locali nella propria disponibilità (in via Picca, corte Casale, strada vicinale Fondo Favale) e da cui venivano ripartiti ai privati (è il caso del barese Ignazio Larizzi, un tempo ritenuto fedelissimo del boss Antonio Capriati), e ai ricettatori».
Questi ultimi «lo rivendevano a ristoranti, pescherie e banchi vendita» al prezzo di 40-50 euro al chilo all'ingrosso «o usando esercizi commerciali (una officina di via Giovene e un bar in banchina San Domenico) quali luoghi di "distribuzione" del prodotto» venduto fino a 100 euro per l'utente finale. I datteri, chiamati «dattr» o cripticamente «jolly» o «jolletti», sarebbero stati venduti «arrivando a consegne di 10 chili e fornendo la merce già porzionata in buste da 0,5 chili o da 1 chilo».
E «in quest'ambito si colloca» chi «rifornisce i mercati ittici della zona», chi «la pescheria del figlio», ma anche chi, come Savino Damato, «da Margherita di Savoia si rifornisce di prodotto per assicurare le richieste» di numerosi ristoranti e pescherie. Da questa mattina, intanto, prenderanno il via gli interrogatori di garanzia.