Musica
"Vivere piano", il nuovo disco di Orazio Saracino
Abbiamo chiacchierato con lui per scoprire i retroscena di un lavoro che accarezza l'anima
Giovinazzo - sabato 28 novembre 2020
Il pianoforte è l'altra metà del cuore pulsante di Orazio Saracino, ingegnere ambientale e musicista di talento, pianista e compositore. Venerdì 20 novembre è stato pubblicato il primo singolo "La luna e la gru", estratto dal suo nuovo album "Vivere piano", un disco che è uscito proprio ieri, 27 novembre, e che condurrà l'ascoltatore per mano in un mondo sognante e raffinato. In tre anni e poco più il musicista ha realizzato due album contenenti nove pezzi ciascuno che raccontano di emozioni, ricordi stretti in un abbraccio che unisce le sonorità alle voci. In questi giorni abbiamo accarezzato quei tratti emozionali che la musica composta da Orazio Saracino ci ha dato.
Ecco che abbiamo pensato di chiacchierare con lui e di entrare con un po' più di profondità nel mondo musicale racchiuso nell'album "Vivere piano", disco completato durante il lockdown dello scorso marzo. Il pre-ascolto, gustato con grande piacere, ci ha fatto scoprire un disco davvero raffinato, che spazia tra stili e linguaggi musicali svariati: il jazz, il pop, un leggero tocco di elettronica e la canzone d'autore. Interessante "Il cercatore di sogni", brano armonioso nei toni, con un passaggio delicato del testo scritto da Orazio Saracino «…una vita senza ricordi è come un oceano senza coralli...»; tra i musicisti Giuseppe Todisco al flicorno.
C'è un verso della canzone a cui sono particolarmente legato: "Roma sotterranea senza più niente da raccontare." Una città che amo e in cui ho vissuto per oltre cinque anni, di cui mi colpisce ogni volta una caratteristica forse unica: la stratificazione architettonica da cui si evince il passaggio attraverso la storia. Tracce di memoria spesso associate a periodi avversi, ma che restano lì dissepolte, e non tenute nascoste. È un po' questo il senso di tutto il brano, magistralmente interpretato da un altro romano di adozione, ma molfettese di nascita, il cantautore nonché amico Mizio Vilardi.
Il brano che dà il titolo all'album "Vivere piano", in stile jazz strumentale, lo possiamo considerare un elogio della lentezza; lo scrittore cileno Luis Sepùlveda mise in risalto l'importanza della lentezza in un suo bel racconto con protagonista una lumaca. Poi c'è un doppio significato nel titolo stesso che fa riferimento al piano. Infatti, il pianoforte emerge nella sua importanza perché strumento che appassiona l'artista. Il concetto di vivere piano può farci pensare al soffermarsi, all'osservare e ad assaporare ogni piccolo momento per dare ad esso il giusto valore ,oltre che a mettere in campo la "resilienza" per approcciarsi alle difficoltà.
Il titolo "Vivere piano" può dunque essere considerato elogio della lentezza per riflettere su ciò che ci accade sia di bello che di brutto?
È esattamente tutto questo: la rivincita della lentezza intesa come approccio calmo alla vita, al fine di assaporarne ogni attimo e coglierne ogni fotogramma senza lasciarsi distrarre dalla frenesia a cui la società moderna ci ha abituati. L'esperienza drammatica del lockdown riletta in un'ottica se vogliamo positiva. E poi sì, c'è l'amore per lo strumento che mi accompagna da una vita.
Quanto c'è di autobiografico in questo album?
Ogni produzione di musica inedita non può che essere legata al proprio trascorso. In "Vivere Piano" ho trasferito le percezioni vissute durante i turni di notte in cantiere, il mio rapporto con il tempo sospeso durante il lockdown, oltre ad emozioni più intime legate alla sfera familiare.
Il pre-ascolto ci ha fatto scoprire stili e linguaggi musicali svariati: il jazz, il pop, la canzone d'autore...
Già prima del diploma in pianoforte classico, con le prime band liceali, ho avuto modo di sperimentare stili musicali diversi assorbendone i canoni. Negli ultimi anni, invece, mi sono concentrato sull'approfondimento del linguaggio jazzistico e sulla dimensione autoriale. Mi piace unire tutti i colori a disposizione sulla mia tavolozza, senza definizione di genere.
Un brano composto all'inizio della pandemia è "11 marzo 2020". Cosa hai pensato mentre componevi il pezzo?
Un tema semplice e che si ripete incessante, mentre pian piano fanno la loro comparsa loop di pianoforte dalle diverse scansioni ritmiche, a circondarlo e accompagnarlo nel suo costante procedere. Ho pensato allo scorrere lento della vita dopo quella fatidica data, ma allo stesso tempo a tutte le potenzialità positive offerte da quel periodo: occasione per riflettere, per recuperare talenti messi da parte o passioni trascurate.
Il nostro viaggio all'interno del disco prosegue. "La luna e la gru", testo e musica di Orazio Saracino, fu presentato dal vivo in anteprima in occasione dell'edizione 2020 della "Notte bianca della Poesia" manifestazione ideata da Nicola De Matteo ed organizzata con l'Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo, serata che si svolse nell'Istituto Vittorio Emanuele II a Giovinazzo. In questo brano abbiamo apprezzato in voce l'ottima interpretazione di Tommaso La Notte.
In questo brano abbiamo immaginato un volo con la fantasia, nel chiaroscuro della vita, a metà tra sogno e realtà. Cosa accomuna i due elementi del titolo e da cosa hai tratto ispirazione?
Come accennato, sono stato ispirato dalle notti trascorse di turno in un cantiere del nord come ingegnere per la sicurezza. Spesso capitava che il braccio di una delle tante gru presenti si sovrapponesse con la luna, dandomi l'idea di un'enorme canna da pesca. Un'illusione ottica che mi ha fornito lo spunto per costruire una storia fantastica, ma che contiene al tempo stesso dei retro-significati politici.
Quali sono i musicisti che hanno collaborato con te ad un disco così bello?
Così come avvenuto per il primo disco "Incontro Tempo Suite", mi sono attorniato di tanti artisti straordinari. Mi permetto di citarli tutti: Eugenio Venneri (contrabbasso), Michele Marrulli (percussioni), Giuseppe Todisco (tromba, flicorno). Stefano De Vivo e Alex Grasso (chitarre, elettronica), Mimmo Campanale (batteria), Gabriele Mastropasqua (sax), Larry Franco, Dee Dee Joy, Mizio Vilardi, Tommaso La Notte e Rita Scalera (voci).
Ecco che abbiamo pensato di chiacchierare con lui e di entrare con un po' più di profondità nel mondo musicale racchiuso nell'album "Vivere piano", disco completato durante il lockdown dello scorso marzo. Il pre-ascolto, gustato con grande piacere, ci ha fatto scoprire un disco davvero raffinato, che spazia tra stili e linguaggi musicali svariati: il jazz, il pop, un leggero tocco di elettronica e la canzone d'autore. Interessante "Il cercatore di sogni", brano armonioso nei toni, con un passaggio delicato del testo scritto da Orazio Saracino «…una vita senza ricordi è come un oceano senza coralli...»; tra i musicisti Giuseppe Todisco al flicorno.
L'INTERVISTA
"Il cercatore di ricordi" racconta qualcosa di emozionale a te vicino?C'è un verso della canzone a cui sono particolarmente legato: "Roma sotterranea senza più niente da raccontare." Una città che amo e in cui ho vissuto per oltre cinque anni, di cui mi colpisce ogni volta una caratteristica forse unica: la stratificazione architettonica da cui si evince il passaggio attraverso la storia. Tracce di memoria spesso associate a periodi avversi, ma che restano lì dissepolte, e non tenute nascoste. È un po' questo il senso di tutto il brano, magistralmente interpretato da un altro romano di adozione, ma molfettese di nascita, il cantautore nonché amico Mizio Vilardi.
Il brano che dà il titolo all'album "Vivere piano", in stile jazz strumentale, lo possiamo considerare un elogio della lentezza; lo scrittore cileno Luis Sepùlveda mise in risalto l'importanza della lentezza in un suo bel racconto con protagonista una lumaca. Poi c'è un doppio significato nel titolo stesso che fa riferimento al piano. Infatti, il pianoforte emerge nella sua importanza perché strumento che appassiona l'artista. Il concetto di vivere piano può farci pensare al soffermarsi, all'osservare e ad assaporare ogni piccolo momento per dare ad esso il giusto valore ,oltre che a mettere in campo la "resilienza" per approcciarsi alle difficoltà.
Il titolo "Vivere piano" può dunque essere considerato elogio della lentezza per riflettere su ciò che ci accade sia di bello che di brutto?
È esattamente tutto questo: la rivincita della lentezza intesa come approccio calmo alla vita, al fine di assaporarne ogni attimo e coglierne ogni fotogramma senza lasciarsi distrarre dalla frenesia a cui la società moderna ci ha abituati. L'esperienza drammatica del lockdown riletta in un'ottica se vogliamo positiva. E poi sì, c'è l'amore per lo strumento che mi accompagna da una vita.
Quanto c'è di autobiografico in questo album?
Ogni produzione di musica inedita non può che essere legata al proprio trascorso. In "Vivere Piano" ho trasferito le percezioni vissute durante i turni di notte in cantiere, il mio rapporto con il tempo sospeso durante il lockdown, oltre ad emozioni più intime legate alla sfera familiare.
Il pre-ascolto ci ha fatto scoprire stili e linguaggi musicali svariati: il jazz, il pop, la canzone d'autore...
Già prima del diploma in pianoforte classico, con le prime band liceali, ho avuto modo di sperimentare stili musicali diversi assorbendone i canoni. Negli ultimi anni, invece, mi sono concentrato sull'approfondimento del linguaggio jazzistico e sulla dimensione autoriale. Mi piace unire tutti i colori a disposizione sulla mia tavolozza, senza definizione di genere.
Un brano composto all'inizio della pandemia è "11 marzo 2020". Cosa hai pensato mentre componevi il pezzo?
Un tema semplice e che si ripete incessante, mentre pian piano fanno la loro comparsa loop di pianoforte dalle diverse scansioni ritmiche, a circondarlo e accompagnarlo nel suo costante procedere. Ho pensato allo scorrere lento della vita dopo quella fatidica data, ma allo stesso tempo a tutte le potenzialità positive offerte da quel periodo: occasione per riflettere, per recuperare talenti messi da parte o passioni trascurate.
Il nostro viaggio all'interno del disco prosegue. "La luna e la gru", testo e musica di Orazio Saracino, fu presentato dal vivo in anteprima in occasione dell'edizione 2020 della "Notte bianca della Poesia" manifestazione ideata da Nicola De Matteo ed organizzata con l'Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo, serata che si svolse nell'Istituto Vittorio Emanuele II a Giovinazzo. In questo brano abbiamo apprezzato in voce l'ottima interpretazione di Tommaso La Notte.
In questo brano abbiamo immaginato un volo con la fantasia, nel chiaroscuro della vita, a metà tra sogno e realtà. Cosa accomuna i due elementi del titolo e da cosa hai tratto ispirazione?
Come accennato, sono stato ispirato dalle notti trascorse di turno in un cantiere del nord come ingegnere per la sicurezza. Spesso capitava che il braccio di una delle tante gru presenti si sovrapponesse con la luna, dandomi l'idea di un'enorme canna da pesca. Un'illusione ottica che mi ha fornito lo spunto per costruire una storia fantastica, ma che contiene al tempo stesso dei retro-significati politici.
Quali sono i musicisti che hanno collaborato con te ad un disco così bello?
Così come avvenuto per il primo disco "Incontro Tempo Suite", mi sono attorniato di tanti artisti straordinari. Mi permetto di citarli tutti: Eugenio Venneri (contrabbasso), Michele Marrulli (percussioni), Giuseppe Todisco (tromba, flicorno). Stefano De Vivo e Alex Grasso (chitarre, elettronica), Mimmo Campanale (batteria), Gabriele Mastropasqua (sax), Larry Franco, Dee Dee Joy, Mizio Vilardi, Tommaso La Notte e Rita Scalera (voci).