Monsignor Luigi Martella
Monsignor Luigi Martella
Chiesa locale

Don Gino, fratello e Vescovo di tutti

Ultimo saluto al Vescovo della Diocesi di Molfetta, Ruvo, Terlizzi e Giovinazzo

Un mercoledì qualunque, quattro e trentaquattro del pomeriggio. La Cattedrale di Molfetta è pressoché piena. Il sole è quello di luglio. Una marea di gente fa un rapido scatto a destra e a sinistra: si ferma davanti alla salma. Una breve preghiera. Un segno di croce, e va. Pochi minuti e altra gente s'accosta nuovamente. Fissano a lungo la salma, il loro sguardo si sofferma su. Un breve momento di silenzio e ritornano al loro posto.

È uno sfilare continuo su quella tomba scarna, adornata soltanto da una piccola croce e poche parole: Don Luigi Martella, vescovo di Molfetta-Ruvo-Terlizzi-Giovinazzo. Infine, le date: nato a Depressa, 9 marzo 1948, nel Salento, nel più profondo e povero Sud della Puglia; morto a Molfetta, 6 luglio 2015, la città dov'è stato vescovo per quasi 14 anni.

Il vescovo di Molfetta, monsignor Luigi Martella, saluta tutti. Sono passati 14 anni, ma ogni luogo parla di lui: gli edifici ecclesiastici ma anche gli uffici pubblici, le piazze e le vie. Una foto oppure una dedicazione, soprattutto sui social. Don Gino ovunque. Mai monsignor Martella, tanto meno Luigi. Sempre e solo don Gino, il fratello vescovo povero con i poveri, quello col pastorale e la croce, quello con l'appartamento episcopale pronto ad accogliere, quello che aveva la porta sempre aperta. Ma anche quello che parlava di pace, giustizia, fede, carità, perdono e salvaguardia del Creato. Ha promosso il progetto pastorale sull'educazione, ha istituito il Museo Diocesano, si è impegnato con la Caritas, ha prestato attenzione ai migranti, ha amato lo sport con le Ecclesiadi ed era interessato per le comunicazioni sociali.

Paragone con don Tonino? No, non gli piaceva anzi «l'eredità di don Tonino è pesante», sottolineava monsignor Luigi Martella. «Portarla mi è meno difficile perché l'ho conosciuto, e l'ho vissuto come un fratello maggiore, un punto di riferimento. Se il Signore mi ha voluto qui, dove lui prima di me è stato pastore, mi aiuterà anche a esserne degno».

Da lui abbiamo imparato che il credente è l'uomo dalle mani aperte; è l'uomo dalle mani protese, perché fa sempre il primo passo; è l'uomo dalle mani giunte, nella preghiera. Ci ha insegnato l'accoglienza. L'episcopio di Molfetta è stata la sua nuova casa. Una casa dove, a chi bussa, ha sempre aperto. Uno stile pastorale diverso, pioniere nel tentare di mettere in pratica il concilio Vaticano II e cercando di divulgarlo con corsi e conferenze in diocesi.

Interpretava uno stile di Chiesa che, con la Bibbia in mano, legge la Parola di Dio non dimenticando però l'attualità e i problemi di tutti i giorni. Il 27 novembre del 2007, collabora con la Congregazione per le cause dei santi la quale dà il suo nulla osta per l'apertura del Processo della Causa di beatificazione e canonizzazione di don Tonino Bello, che entro pochi mesi concluderà la prima fase, quella diocesana a Molfetta. Questo è stato il servizio, quello con la "S" maiuscola, posto in essere dal nostro Vescovo.

Quest'oggi su corso Dante il caldo e l'affetto della gente, i raggi di sole e la brezza del mare illuminavano il Vangelo, quel Vangelo che è stato e sarà suo fedele compagno, strumento con il quale la voce di don Gino sarà apparsa spesso così dissonante rispetto al coro. Una voce di speranza e di amore che nessuno dimenticherà.
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