Francesco Mastro
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Cronaca

Omicidio Fiorentino, chiesti cinque ergastoli e un maxi risarcimento

Invocato il carcere a vita e una richiesta pari ad 1 milione di euro. Mastro: «Vogliamo dare un segnale forte»

La parola ergastolo è risuonata per ben cinque volte, chiara e sinistra, nell'aula del Tribunale di Bari dove si sta celebrando il processo con la formula del giudizio abbreviato per sei esponenti del clan Di Cosola imputati per l'omicidio di Claudio Fiorentino, imparentato con il clan Capriati e freddato in un agguato 10 anni fa.

La richiesta del carcere a vita per Mario Del Vecchio, Luigi Guglielmi, i fratelli Carmine Pasquale Maisto e Piero Mesecorto è arrivata al termine della requisitoria dei pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi dinanzi al giudice dell'udienza preliminare Giuseppe Ronzino. 8 anni di reclusione, invece, la richiesta per Michele Giangaspero, il collaboratore di giustizia che, dopo ben quattro anni dai fatti, s'è autoaccusato del delitto avvenuto a Giovinazzo.

E proprio il Comune, assistito dall'avvocato Francesco Mastro - lo stesso legale che difende la madre, il padre, il fratello e la moglie della vittima -, si è costituito parte civile: «Ho chiesto delle provvisionali molto importanti, pari ad un milione di euro - ha detto il penalista, docente universitario di diritto processuale e penale -. S'è trattato di un danno consistente per l'Ente che rappresento, sotto scacco della criminalità. Per questo, vogliamo dare un segnale molto importante e forte».

L'omicidio risale al 3 giugno 2014, quando Fiorentino fu ucciso sulla complanare della strada statale 16 bis con 9 colpi di una pistola mitragliatrice, mentre era in compagnia di un amico. Quel giorno, su ordine di Guglielmi e Maisto (il più piccolo dei due fratelli), i due presunti esecutori Mesecorto e Giangaspero (il pentito), con la complicità dell'altro Maisto e di Del Vecchio (nel ruolo di vedette), seguirono Fiorentino, lo affiancarono mentre era a bordo del suo calesse e fecero fuoco.

Sono state proprio le dichiarazioni autoaccusatorie del pentito del clan Di Cosola, Giangaspero, che ha fatto ritrovare i pezzi dell'arma in un pozzo della discarica di Giovinazzo, a rivelare come, dietro quell'agguato, ci fosse la guerra tra gruppi criminali per il controllo del racket delle estorsioni a negozi e cantieri. Grazie alle deposizioni di altri undici collaboratori, a novembre dell'anno scorso, i Carabinieri hanno arrestato i presunti mandanti, gli esecutori materiali e i fiancheggiatori.

Esponenti del clan mafioso Di Cosola, protetti per quasi un decennio da un impenetrabile clima di omertà, sono finiti in carcere accusati, a vario titolo, di omicidio premeditato in concorso, detenzione e di porto illegale di armi, aggravati dalle modalità mafiose. Si tornerà in aula il 28 gennaio per le discussioni delle difese.
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