Mauro Bavaro
Mauro Bavaro

Giovinazzo, dove il pallone non rotola più. Il De Pergola il vero snodo

Parla Mauro Bavaro: «Non mi rassegno all'idea di non vedere più il calcio in città»

Eppure da queste parti il calcio lo sanno fare. Quando ci hanno provato (fra gli anni '70 e '80, in Promozione, con l'Unione Sportiva, nda) le soddisfazioni non sono mancate. Poi ci hanno riprovato nel 2013, in Promozione. Salvo evaporare nel 2018, a causa dell'inadeguatezza del De Pergola, in una nuvola bianca e verde.

«Non mi rassegno all'idea di non vedere più il calcio a Giovinazzo». A dirlo è Mauro Bavaro, 62 anni, imprenditore nel settore della grande distribuzione, una vecchia gloria del calcio a Giovinazzo. Un calcio che non c'è più. «È chiaro che per invertire questa situazione - spiega Bavaro - è necessario che si facciano avanti nuovi appassionati, tanto generosi da mettere la passione davanti al profitto». Giovinazzo non frequenta più i salotti buoni del pallone. E il rischio è di vivere di ricordi.

Le colpe? «La mancata iscrizione al campionato di calcio dilettantistico è dovuta al Covid 19», dice Bavaro. I migliori anni della sua vita rischiano di essere seguiti da un buco nero che nessuno può riempire e con il De Pergola (da campo sportivo di epiche battaglie a campo di patate degli ultimi anni) che è diventata la più classica delle camicie strette. Adesso un finanziamento regionale di 496mila euro (più 140mila euro di cofinanziamento comunale) potrebbe metterlo a nuovo.

«Spero che, grazie a questo finanziamento, il De Pergola venga rimesso a nuovo e possa diventare un polo d'attrazione che dia nuova vita al calcio a Giovinazzo. Perché questo vorrebbe dire che la crisi del calcio giovinazzese non è di sistema, ma contingente e, quindi, si può sempre rimediare». Noi l'abbiamo ascoltato.A Giovinazzo il pallone non rotola più da anni. L'ultima volta ci ha provato Azzollini, poi il nulla. Perché?

«Un tempo a Giovinazzo c'erano figure come Pinuccio Mastropasqua, Alfredo Milella, Vincenzo Aniello e Giuseppe Decicco (factotum) che, conclusi i loro impegni lavorativi, correvano al campo sportivo per allenare, a costo zero e passione tanta, i vari ragazzini selezionati in precedenza sui campetti di rione e in particolare a Campofreddo dove il mitico Luigi De Cicco, alias Giggino la Provedde, organizzava i vari tornei calcistici. Al campo De Pergola essi forgiavano e plasmavano i ragazzi con allenamenti specifici, sviluppando e affinando quelle qualità che avevano intravisto in ognuno di loro.

Quando i ragazzi erano pronti li trasferivano in prima squadra, a competere con i più grandi che, per forza di cose, erano anche più bravi e più esperti. E questo confronto era fondamentale per la crescita di quei ragazzini che avevano davvero voglia di emergere, anche a costo di grandi sacrifici. Finché questo sistema ha funzionato l'Unione Sportiva Giovinazzo ha avuto vita gloriosa. Dopo, anche per colpa di fattori economici, c'è stato il deserto in cui la palla non ha più rotolato».


Il volto del Bavaro calcistico include rabbia, delusione e sconforto. Ti sei anche rassegnato all'idea di non vedere più il calcio in città?

«Non c'è dubbio che il volto del Bavaro calcistico, così come di tutti quelli che con me hanno amato e supportato i colori biancoverdi, esprima delusione e sconforto. Come potrebbe essere altrimenti? Quelli sono stati anni bellissimi. Accanto alle soddisfazioni sportive, hanno rappresentato un momento di confronto, conoscenza e arricchimento personale sotto tutti i punti di vista. Sono nate amicizie che si sono consolidate nel tempo e che hanno finito per coinvolgere anche le nostre intere famiglie. Fa rabbia constatare che tutto questo non ha avuto un seguito.

Fa male se si pensa ai sacrifici di noi calciatori, degli allenatori, di quei fedeli simpatizzanti (che ci permettevano di vivere al meglio la nostra condizione), cito su tutti Gino Lacalamita, Mariano Vestito e Pasquale Faele ("U 'American") e dei vari presidenti che si sono succeduti e che spesso ci hanno rimesso anche economicamente. Non mi rassegno all'idea di non vedere più il calcio a Giovinazzo, ma è chiaro che per invertire questa situazione è necessario che si facciano avanti nuovi appassionati, tanto​ generosi da mettere la loro passione davanti al profitto. D'altra parte vedo una rinascita in altre cittadine limitrofe che hanno avuto le nostre stesse problematiche per cui, come si dice, la palla è rotonda e la ruota gira: sono speranzoso».


Lo scorso anno 14 paesi della città metropolitana di Bari, fra cui Giovinazzo, non hanno iscritto una squadra di calcio dilettanti. Il pallone s'è sgonfiato, la crisi miete anche il calcio. Come mai?

«La mancata iscrizione al campionato di calcio dilettantistico da parte di tanti paesi della città metropolitana è sicuramente dovuta alla pandemia del Covid-19 che ci ha investiti nel 2020 e che si è sovrapposta alla crisi economica preesistente, rendendola ancora più acuta. Temo che questa situazione sia destinata a peggiorare e che ai 14 paesi se ne aggiungeranno altri. Il danno sociale che questa situazione provocherà è enorme perché i giovani, costretti fuori dai campi di calcio, affolleranno nuovamente le strade con tutto quello che questo comporta in termini di disagio sociale, specialmente per i soggetti più fragili».

Il rito della domenica pomeriggio, la corsa sui gradoni del De Pergola, non ci sono più. Quanto ti manca quel calcio?

«Prima ancora della corsa sui gradoni del De Pergola, ricordo la corsa ad accaparrarsi i posti all'interno del pullman che, messo a disposizione dall'Unione Sportiva Giovinazzo, trasportava i tifosi da piazza Vittorio Emanuele II al De Pergola, che l'indimenticabile Ciccillo curava e allestiva in maniera impeccabile. Tifosi che, sul pullman e sulle gradinate, sgranocchiavano con gusto la frutta secca puntualmente fornita dalla famiglia Lacalamita. Sicuramente quel calcio manca a tutti i tifosi di quegli anni e non si tratta soltanto di nostalgia, ma è qualcosa di più profondo.

A mancare è quel tipo di calcio che si praticava, certamente meno veloce, meno aggressivo, meno fisico e tattico, ma sicuramente più tecnico e spontaneo, affidato alla genialità e all'estrosità dei singoli. Tutte qualità che erano ben presenti nel nostro gruppo e che ci hanno permesso di tener testa e ben figurare contro formazioni che provenivano da realtà economicamente più forti della nostra, almeno per quel che riguarda il calcio. Invece nel calcio a 5, all'epoca conosciuto come calcetto, non avevamo rivali sia a livello provinciale che regionale, ed eravamo una squadra di tutto rispetto a livello nazionale».


A Giovinazzo non c'è più nessuno che insegue pallone e gloria. Ma è solo colpa delle pietose condizioni del nostro campo sportivo o c'è dell'altro?

«È chiaro che le condizioni del campo sportivo siano solo la punta dell'iceberg del problema calcio a Giovinazzo, ma è innegabile che sia anche l'ennesimo problema che si aggiunge a quelli che abbiamo elencato fino ad ora. Perché, mi domando, allenarsi su quel campo in qualsiasi condizione meteorologica avversa, inalare polvere e trasportarla poi direttamente a casa a intasare le lavatrici? Perché sottoporsi a tutto questo quando è più facile, comodo e pulito frequentare il PalaPansini e praticare il calcio a 5 che, grazie ad Antonio Carlucci, tiene sempre banco a Giovinazzo?».

Adesso un finanziamento di 496mila euro potrebbe finalmente metterlo a nuovo. Potrebbe essere questo il giusto viatico per sperare nella rinascita del calcio a Giovinazzo?

«Spero davvero che, grazie a questo finanziamento, il De Pergola venga rimesso a nuovo e possa diventare un polo di attrazione che dia nuova vita al calcio a Giovinazzo. Perché questo vorrebbe dire che la crisi del calcio giovinazzese non è di sistema, ma contingente e, quindi, si può sempre rimediare».

Altrimenti vivremo di ricordi...

«Spero proprio di no. Intanto approfitto della conclusione di questa bella chiacchierata per rendere omaggio e ringraziare di cuore tutti i presidenti che si sono succeduti negli anni e che hanno reso il nostro percorso calcistico possibile e indimenticabile».
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