Ordine architetti della Città Metropolitana di Bari chiede Stati Generali Urbanistica ed Edilizia
La posizione: "Serve una riforma urgente delle regole urbanistiche ed edilizie. Così si svilisce il ruolo dei tecnici e si paralizza il futuro delle città"
mercoledì 10 settembre 2025
12.17
Le recenti vicende emerse a Milano nell'ambito dell'edilizia privata hanno riportato l'attenzione su un tema troppo spesso ignorato: la difficoltà dell'esercizio della professione tecnica in Italia. Un mestiere che, tra responsabilità crescenti, procedure complesse e norme contraddittorie, è oggi sempre più fragile e a rischio di estinzione.
Un tema che merita alcune considerazioni, soprattutto alla vigilia dalla discussione in programma domani (10 settembre) in Commissione Ambiente alla Camera della proposta di modifica del testo unico per l'edilizia ( legge 380/01). Il clamore mediatico che accompagna inchieste e verifiche giudiziarie ( sacrosante) rischia di alimentare una rappresentazione distorta: quella di un "sistema" connivente e corrotto. Una visione che rischia di generalizzare una visione distorta e criminalizzante dell'intera filiera dell'edilizia, pubblica e privata, presso la pubblica opinione colpendo professionisti che ogni giorno operano con rigore e responsabilità sia negli uffici tecnici che in qualità di liberi professionisti. Riteniamo per questo porre l'attenzione su una crisi più profonda che riguarda il quadro normativo entro cui siamo chiamati a operare. Il nostro sistema urbanistico fa ancora riferimento a una legge del 1942, figlia di un'epoca centralista e gerarchica, profondamente lontana dalla realtà attuale. Anche gli aggiornamenti intervenuti negli anni, hanno agito in modo frammentario, tamponando senza mai realmente riorganizzare l'intero impianto normativo.
La conseguenza è una stratificazione confusa e contraddittoria di leggi, definizioni e procedure che complica il lavoro quotidiano di architetti, ingegneri e tecnici, oltre che quello della pubblica amministrazione. Un esempio concreto di questa confusione è la definizione di "ristrutturazione edilizia": nata per incentivare il recupero dell'esistente, oggi è diventata una nozione così ampia e sfumata da rendere difficile distinguere il recupero dalla nuova edificazione. È qui che nascono molte delle contestazioni attuali.
Negli ultimi vent'anni, con l'introduzione di strumenti come la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), si è tentato di velocizzare le pratiche edilizie. Ma ciò ha significato, altresì, far gravare sui professionisti tutte le responsabilità, anche di carattere penale, in assenza di un quadro normativo chiaro ed inequivocabile. Una situazione insostenibile che spinge sempre più giovani e meno giovani ad abbandonare la professione. Serve una riforma vera, non l'ennesimo rattoppo. Da anni si parla della necessità di riformare la normativa in materia urbanistica ed edilizia in maniera coordinata. A febbraio 2025, il Ministero delle Infrastrutture ha annunciato l'avvio di una revisione organica. È un passo importante, ma ancora insufficiente. L'Italia ha urgente bisogno di un quadro normativo coerente, semplice, aggiornato ai principi costituzionali di sussidiarietà, trasparenza e partecipazione. Serve un nuovo patto tra Stato, enti locali, professionisti e cittadini per riscrivere le regole che governano la trasformazione del territorio, in modo chiaro e condiviso.
Da Bari, come Ordine provinciale, facciamo partire l'appello a che le professioni tecniche siano coinvolte attivamente nella riforma. Non solo come esecutori, ma come protagonisti del cambiamento. Chiediamo che siano convocati gli Stati Generali dell'Edilizia e dell'Urbanistica, coinvolgendo Ministeri, Regioni, Enti locali, Ordini professionali, mondo imprenditoriale e accademico. Le trasformazioni urbane e territoriali non possono più essere affrontate con norme vecchie di decenni, pensate per un'Italia che non esiste più. Serve una nuova visione che metta al centro il bene comune, la qualità dell'abitare, dell'ambiente e la dignità delle professioni. Il caso Milano non è un'eccezione, ma il sintomo di un malessere diffuso. È il momento di trasformare la crisi in un'opportunità, per costruire – finalmente – regole in materia urbanistica ed edilizia all'altezza del nostro tempo.
Un tema che merita alcune considerazioni, soprattutto alla vigilia dalla discussione in programma domani (10 settembre) in Commissione Ambiente alla Camera della proposta di modifica del testo unico per l'edilizia ( legge 380/01). Il clamore mediatico che accompagna inchieste e verifiche giudiziarie ( sacrosante) rischia di alimentare una rappresentazione distorta: quella di un "sistema" connivente e corrotto. Una visione che rischia di generalizzare una visione distorta e criminalizzante dell'intera filiera dell'edilizia, pubblica e privata, presso la pubblica opinione colpendo professionisti che ogni giorno operano con rigore e responsabilità sia negli uffici tecnici che in qualità di liberi professionisti. Riteniamo per questo porre l'attenzione su una crisi più profonda che riguarda il quadro normativo entro cui siamo chiamati a operare. Il nostro sistema urbanistico fa ancora riferimento a una legge del 1942, figlia di un'epoca centralista e gerarchica, profondamente lontana dalla realtà attuale. Anche gli aggiornamenti intervenuti negli anni, hanno agito in modo frammentario, tamponando senza mai realmente riorganizzare l'intero impianto normativo.
La conseguenza è una stratificazione confusa e contraddittoria di leggi, definizioni e procedure che complica il lavoro quotidiano di architetti, ingegneri e tecnici, oltre che quello della pubblica amministrazione. Un esempio concreto di questa confusione è la definizione di "ristrutturazione edilizia": nata per incentivare il recupero dell'esistente, oggi è diventata una nozione così ampia e sfumata da rendere difficile distinguere il recupero dalla nuova edificazione. È qui che nascono molte delle contestazioni attuali.
Negli ultimi vent'anni, con l'introduzione di strumenti come la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), si è tentato di velocizzare le pratiche edilizie. Ma ciò ha significato, altresì, far gravare sui professionisti tutte le responsabilità, anche di carattere penale, in assenza di un quadro normativo chiaro ed inequivocabile. Una situazione insostenibile che spinge sempre più giovani e meno giovani ad abbandonare la professione. Serve una riforma vera, non l'ennesimo rattoppo. Da anni si parla della necessità di riformare la normativa in materia urbanistica ed edilizia in maniera coordinata. A febbraio 2025, il Ministero delle Infrastrutture ha annunciato l'avvio di una revisione organica. È un passo importante, ma ancora insufficiente. L'Italia ha urgente bisogno di un quadro normativo coerente, semplice, aggiornato ai principi costituzionali di sussidiarietà, trasparenza e partecipazione. Serve un nuovo patto tra Stato, enti locali, professionisti e cittadini per riscrivere le regole che governano la trasformazione del territorio, in modo chiaro e condiviso.
Da Bari, come Ordine provinciale, facciamo partire l'appello a che le professioni tecniche siano coinvolte attivamente nella riforma. Non solo come esecutori, ma come protagonisti del cambiamento. Chiediamo che siano convocati gli Stati Generali dell'Edilizia e dell'Urbanistica, coinvolgendo Ministeri, Regioni, Enti locali, Ordini professionali, mondo imprenditoriale e accademico. Le trasformazioni urbane e territoriali non possono più essere affrontate con norme vecchie di decenni, pensate per un'Italia che non esiste più. Serve una nuova visione che metta al centro il bene comune, la qualità dell'abitare, dell'ambiente e la dignità delle professioni. Il caso Milano non è un'eccezione, ma il sintomo di un malessere diffuso. È il momento di trasformare la crisi in un'opportunità, per costruire – finalmente – regole in materia urbanistica ed edilizia all'altezza del nostro tempo.