Festa
Festa "mondiale" nell'82
Vita di città

Paolo Rossi, ovvero il ricordo della felicità

Le memorie di alcuni giovinazzesi, tra gol, processioni e foto indimenticabili

Stipati sul cassone di un furgoncino. Sorridenti. Felici. Donne, uomini e bambini. Le bandiere tricolori e un cartello di cinque lettere brandito con fierezza: Rossi.
L'addio a Paolo Rossi ha permesso di tirare fuori dai cassetti dei giovinazzesi foto commoventi e ricordi mai sbiaditi della coppa del mondo di calcio del 1982. Un sogno lungo diverse notti di una estate di quasi 40 anni fa, durante cui Paolo Rossi vestì i panni dell'eroe e un popolo intero impazzì di fronte alle gesta calcistiche sue e degli altri azzurri.

Stop a Sant'Antonio

Una follia collettiva che a Giovinazzo coinvolse perfino la processione di Sant'Antonio da Padova, che si teneva proprio il giorno della finale contro la Germania. «La processione uscì dopo la partita - ricorda Francesco Pugliese, imprenditore locale -. Ma si dovette fermare perché esplosero i festeggiamenti. Ricordo nitidamente la statua del Santo fermo di fronte alla fontana di piazza Vittorio Emanuele II mentre impazzava la festa». Altri ricordano un curioso episodio, al limite della profanazione, secondo cui fu perfino messo un pallone accanto alla statua. Ma forse siamo qui si sconfina nella leggenda.

Le partite del "Mundial" viste nella Stazione dei Carabinieri

«Pablito! Che ricordi quel mondiale1982! - scrive Luigi Morva, oggi manager di successo, all'epoca figlio del Comandante della Caserma dei Carabinieri, papà Armando -. Tutte le partite dell'Italia si guardavano in Caserma. I Carabinieri venivano a vederle lì anche se non erano in servizio, era diventato un rito. Tutti insieme: ci si alzava in piedi durante l'inno di Mameli, mano sul petto....per poi gioire per le prodezze di quella nazionale e per i goal di Paolo Rossi. Pablito e quella nazionale italiana batterono uno dopo l'altro i più forti: Brasile, Argentina e Germania (in semifinale la Polonia, ndr). Non è mai successo! È stata l'unica volta: ecco perché li amiamo tutti ed ecco perché tutti piangono il Pablito nazionale», la sua conclusione amara.

Rossi, Rossi, Rossi!!!

La tripletta con cui Pablito affondò un Brasile fortissimo, talmente perfetto che forse era più simile ad un'idea platonica che ad una vera squadra di calcio, resta un momento davvero indimenticabile anche per Filippo Luigi Fasano, oggi avvocato e giornalista, allora ancora bambino, costretto però quella sera in un letto d'ospedale. «Ero in clinica a Bari, per una appendicite - spiega -. Non avevo la tv in stanza ed il mio mondiale è l'andirivieni di mio padre durante Italia-Brasile dalla stanza accanto, dove si vedeva la partita. Rossi, Rossi, Rossi!! E il terzo gol che è l'ultimo della partita».

La foto che fa epoca

«Fu una cosa straordinaria, indimenticabile. Ogni volta che la vedo mi emoziono». Mimmo Camporeale, già Comandante del Corpo di Polizia Locale, allude alla foto (che vedete in home) che racconta la gioia dei giovinazzesi la sera della conquista della coppa del mondo «Dopo la partita Lorenzo - prosegue Mimmo - ebbe l'idea di prendere il furgone, schiaffandoci sopra di tutto e di più. Non si capiva niente, solo una grande gioia». Su quel furgone ricorda di esserci salito anche suo nipote Nando De Palo, allora ancora bambino: «Ho ricordi sfocati. Rammento di essere salito su quel camioncino. Quella foto la custodisco gelosamente sulla mia scrivania».

Pablito simbolo della nazionale

«La squadra dell'82 è rimasta nel cuore di tutti gli appassionati - dice Nicola Turturro, fondatore del Bari Club Giovinazzo, che all'epoca aveva quasi 10 anni e ricorda le serate davanti alla tv insieme ai parenti-. La sera della finale il paese si fermò, a raccontarlo mi vengono i brividi ancora oggi. Quando Cabrini sbagliò il rigore ci cadde il mondo addosso; il secondo tempo invece fu un delirio e alla fine ci riversammo tutti in strada. Fu un festa bellissima». Merito anche di Paolo Rossi. «Per noi bambini di allora Rossi era un riferimento, forse uno dei pochi giocatori che è stato associato più alla nazionale che al club». Anche se Pablito non c'è più, quella maglia azzurra numero 20 resterà per sempre il simbolo di quanto la vita sia incredibile e che la felicità esiste davvero.
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