Omicidio Fiorentino, il pentito: «Ricordo quella scena, vidi il viso di Claudio»

Le indagini hanno avuto un impulso nel 2018 con la collaborazione di Giangaspero. Sei gli arrestati, tutti affiliati ai Di Cosola

martedì 14 novembre 2023 11.10
A cura di Nicola Miccione
«Ricordo quella scena, quando arrivai con la moto sotto, vidi il viso di Claudio, che si girò, l'impatto. Claudio stava sul lato destro e si girò di scatto, perché arrivai proprio attaccato a lui; che quando Claudio fu sparato, il cavallo continuò a camminare. Lui cadde, però mi è rimasto impresso i colpi dietro la spalla che prese».

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È il testimonianza-chiave di Michele Giangaspero, di Giovinazzo, 43enne collaboratore di giustizia che s'è autoaccusato dell'omicidio di Claudio Fiorentino, vicino al clan Capriati. A lui, finito ai domiciliari, e ad altre cinque persone, i Carabinieri hanno notificato un'ordinanza di custodia cautelare in cui sono stati riconosciuti «gravi indizi di colpevolezza» per i reati, contestati a vario titolo, di omicidio in concorso, di detenzione e porto illegale di armi, aggravati dalle modalità mafiose.

Con Giangaspero, alla guida di una Suzuki 1000 da cui il 35enne Piero Mesecorto, considerato uno degli esecutori materiali dell'omicidio, avrebbe esploso i colpi d'arma da fuoco, sono finiti dietro le sbarre, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Anna Perrelli, anche Luigi Guglielmi e Carmine Maisto, di 41 e di 49 anni, considerati i mandanti, e i 44enni Mario Del Vecchio e Pasquale Maisto, le due vedette che hanno aiutato nell'esecuzione dell'agguato.

Omicidio Fiorentino, i rilievi e le indagini dei Carabinieri
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Fiorentino, allora 33enne e con precedenti per estorsione ai danni di alcuni imprenditori edili, secondo le indagini dei Carabinieri, coordinate dai pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi con il procuratore aggiunto Francesco Giannella, fu ucciso il 3 giugno 2014 con 9 proiettili di una pistola mitragliatrice Micro Uzi, mentre era su un calasse lungo la complanare della strada statale 16 bis assieme ad un amico. Fu proprio quest'ultimo a dare l'allarme.

Le indagini dei Carabinieri, sviluppate con servizi di osservazione, pedinamenti, attività tecniche e supportate dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, nonostante il «diffuso clima di omertà», hanno consentito di raccogliere «gravi indizi di colpevolezza» a carico degli arrestati, considerati affiliati al clan Di Cosola (Guglielmi ne è considerato l'attuale reggente) che, come detto in conferenza stampa, aveva intenzione di espandersi a Giovinazzo per controllare le estorsioni.

Un racket che, nella città adriatica, con il beneplacito del clan Capriati con cui era imparentato, era gestito proprio da Fiorentino, finito nel mirino del clan rivale Di Cosola, interessato a Giovinazzo, già durante il 2012: il tentativo di omicidio, però, non andò a buon fine perché al momento dell'agguato accanto a lui c'erano dei bambini. Fiorentino, hanno ricostruito i militari, doveva morire perché i Di Cosola gli si avvicinarono in quanto interessati alla piazza, ma la sua risposta fu «no».

In particolare, i due mandanti, Guglielmi e Maisto (Carmine, fratello di Pasquale, entrambi originari di Salerno) avrebbero organizzato e ordinato l'omicidio proprio per agevolare l'attività criminale del gruppo del boss Antonio Di Cosola su Giovinazzo. Le indagini hanno poi avuto un impulso a fine 2018 con la collaborazione di Giangaspero, che si è autoaccusato dell'omicidio e ha consentito il ritrovamento dei pezzi dell'arma, recuperati in un pozzo della discarica di San Pietro Pago.

«Di questa vicenda è importante sottolineare il contributo dei collaboratori di giustizia - ha detto Giannella - e lo svelamento di alcuni aspetti inquietanti della vita di Giovinazzo, un paese tranquillo. Se è considerata una città tranquilla è perché esiste una certa omertà, visto che le estorsioni non sono mai state denunciate».