Giovinazzo ha riabbracciato Raffaele Sollecito

Presentato ieri sera il libro "Un passo fuori dalla notte"

venerdì 6 novembre 2015 05.30
A cura di Gianluca Battista
È di nuovo uno di noi.

L'abbraccio di Giovinazzo a Raffaele Sollecito è stato caloroso, quasi a ribadire che c'è sempre stata una comunità che ha creduto nella sua innocenza e che lo aspettava di nuovo a casa.

Il delitto di Meredith, la detenzione, i silenzi, le paure, il buio dell'anima sono stati raccontati dall'ingegnere informatico nel libro "Un passo fuori dalla notte", edito da Longanesi. Ieri sera, in sala San Felice, c'erano le più alte cariche cittadine a salutarlo, alla presenza di Enzo Magistà, storico Direttore Responsabile del Tg Norba 24 e moderatore della presentazione.

È stato il Sindaco, Tommaso Depalma a dargli un nuovo benvenuto in riva all'Adriatico, augurandogli di tornare a vivere la sua vita con serenità, divenendo esempio per le nuove generazioni di come si possa uscire da una vicenda così dura, struggente e distruttiva per chiunque, tornando ad essere il Raffaele che tanti amano a Giovinazzo. Lui, che ha vissuto una storia «passata dalla realtà all'assurdità».

Sollecito, dopo i ringraziamenti doverosi ai presenti ed a quanti lo hanno sostenuto, ha precisato che per lui, quella di ieri sera, rappresentava «una bellissima luce dopo la notte che ho dovuto vivere». Una notte lunga più di sette anni, quattro dei quali passati in carcere a scontare una detenzione che il giudizio di Cassazione ha evidenziato essere figlia di un errore giudiziario.

Raffaele ha ribadito come lui, da cattolico, si è dato una spiegazione a quanto successogli: «Forse - ha sussurrato - c'era un disegno divino per tutto questo». Incalzato dalle domande di Magistà, l'ingegnere informatico giovinazzese ha sottolineato lo splendido rapporto con tutta la sua famiglia, pilastro a cui aggrapparsi per rimanere a galla quando la notte si era fatta più buia e la luce appariva come utopia.

Una vicenda processuale assurda, con molti punti oscuri, su cui lo stesso Magistà ha puntato con la sua testata, cercando negli atti processuali una risposta a quanto stava accadendo a Perugia. Sollecito ha così raccontato la sua esperienza in carcere: «Sono stato sei mesi in isolamento - ha detto - e potevo vedere la mia famiglia due ore a settimana. Non mi hanno voluto lasciare - ha spiegato - con detenuti comuni, perché il carcere ha il suo codice non scritto e se sei accusato di omicidio con violenza carnale è davvero dura».

Così la detenzione è divenuta solitudine profonda, con i primi dieci giorni passati anche senza televisore e con l'unica compagnia dei libri, divorati quasi fossero pane per sopravvivere. Le mura di cinta del carcere, i lunghi silenzi, la riflessione su quanto stava accadendo e la mente che inizia a non reggere più. Raffale si è quindi ammalato, con una tiroide che ha iniziato a dare problemi ed un giorno si è ritrovato al risveglio nudo a letto, senza ricordarne il perché. È stato allora che ha capito di dover fare una scelta: rischiare e tornare tra gli altri detenuti.

Nel carcere di massima sicurezza ha conosciuto codici di comportamento nuovi per lui, ha capito quel mondo, lo ha condiviso con gli altri, non facendolo mai suo, perché vissuto come profondamente ingiusto. «Adesso che sono fuori - ha detto - mi guardano, mi giudicano. Ho dovuto cambiare il mio modo di essere semplicemente per rapportarmi al mondo esterno, a questo mondo che non credevo di rivedere. Un mondo che mi chiede di essere un altro. I miei 23 anni di allora sono stati spazzati via».

Oggi è un uomo, ma non riesce a dimenticare quella che ritiene (e vorremmo vedere noi al suo posto) una ingiustizia, arrivando a dire: «Ho avuto fiducia nella giustizia ma ho sbagliato. Io - ha poi risposto a Magistà che gli chiedeva se si rimproverasse qualcosa - ho fatto l'errore di presentarmi in caserma senza un avvocato, mentre tutte le altre persone sentite come informate sui fatti, ne avevano uno. Ho pagato - ha sottolineato - il mio aver fatto il dovere di cittadino onesto. Ribadisco - ha dichiarato con forza - che io nella stanza di Meredith non ho mai messo piede. E questa vicenda - ha chiosato amaro - mi ha insegnato che questo è un Paese dove farsi i fatti propri è forse meglio». Un'ora dopo, in chiusura di serata, gli avrebbe quasi dato ragione l'avvocato Francesco Mastro, certo che questa sia una nazione in cui qualcosa non funziona nell'ordinamento giudiziario che egli stesso, nonostante la sua esperienza, stenta a comprendere sino in fondo.

Raffaele aveva deciso anche per Amanda, lui aveva deciso di dare tutta la sua collaborazione alle forze dell'ordine, agli inquirenti. Ma non è stato fortunato: «Ho visto un accanimento - ha ripetuto più volte - da parte degli addetti ai lavori. Un orgoglio, un voler salvaguardare la propria posizione. Io non c'ero in quella stanza, lo ribadisco. L'unico presente era Rudy Guede».

La sua speranza è che chi ha sbagliato, paghi. Paghi per i suoi anni persi, per il dolore, per l'onta subita dalla sua famiglia, mediaticamente e nella vita di ogni giorno. Per questo ha chiesto un risarcimento danni e per questo è certo che «chi commenta su Facebook la mia vicenda con superficialità, non conosce gli atti, non conosce davvero quello che abbiamo subito». Eppure il carcere è stato, come spesso accade per gli esseri umani piegati da situazioni abnormi, impensabile palestra di vita, dove conoscere, ad esempio, un clochard che sapeva sorridere sempre, quasi contento di avere un tetto, un pasto ed un letto su cui dormire.

Già, la vita. Quella che sembrava essere definitivamente scivolata via di mano a Raffaele e che oggi ricomincia, anche attraverso il lavoro e la sua giovane start-up, premiata dalla Regione Puglia con un finanziamento. Memories s.r.l. è in via Bari, proprio nella sua Giovinazzo, incubatore di idee grafiche e casa di un nuovo sito che intende ricordare chi non c'è più. Una idea in divenire, sviluppata da Raffaele con le sue competenze da ingegnere informatico, per incamminarsi su quella strada interrotta troppo a lungo.

Lui, che non ha dimenticato Meredith ed i suoi genitori, pur conoscendo pochissimo la ragazza inglese, incrociata in casa di Amanda un paio di volte appena. Li vorrebbe tanto incontrare, «togliendo dai loro occhi quel velo che non permette loro di vedere», di capire che in quella stanza ci sarebbe stato solo Rudy. Quella stessa persona a cui lui vorrebbe chiedere di raccontare come sono andate davvero le cose otto anni fa.

Il tema del buio, della notte, è ritornato più volte nei suoi discorsi, anche quando ha ricordato Monsignor Luigi Martella, «l'unico a venirmi a trovare in carcere oltre ai miei familiari, capace di donarmi speranza quando mi disse "Il carcere non è la tua casa, non ti appartiene. Il carcere non sarà la tua vita"». Ha avuto ragione il Vescovo: il carcere non è stato la sua vita. Raffaele, grazie ai tanti che hanno sostenuto lui e la famiglia, come ricordato dal papà Francesco in chiusura di serata, ne è venuto fuori, scacciando le tenebre e rivedendo il sole.

Adesso ha una vita che torna a sorridergli, un passo dopo l'altro, fuori dalla notte.
Il libro "Un passo fuori dalla notte" © Gianluca Battista
Raffaele e Francesco Sollecito con il Direttore Magistà ed il Sindaco Depalma © Gianluca Battista
I saluti del Sindaco © Gianluca Battista
Enzo Magistà dialoga con Raffaele Sollecito © Gianluca Battista
Raffaele ricorda la sua detenzione © Gianluca Battista