«Ammazzato per uno scoglio»

Vito Arciuli voleva affermare il proprio predominio nel porto di Giovinazzo

lunedì 27 luglio 2015 14.52
A cura di Nicola Miccione
«Era un gruppo emergente - ha detto questa mattina il colonnello Rosario Castello nel corso della conferenza stampa che si è tenuta presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari - facente capo alla famiglia Arciuli» che con furti, incendi e minacce, ma soprattutto attraverso le estorsioni ai pescatori, voleva affermare il proprio predominio lungo il litorale che va da Giovinazzo a Santo Spirito.

La banda faceva capo al 19enne pregiudicato Vito Arciuli, del rione San Girolamo di Bari, trapiantatosi da alcuni anni a Giovinazzo. La guerra (gli inquirenti hanno annotato numerosi episodi di aggressioni, nda) ha terrorizzato il porto cittadino, un'intera città. E registrato, in soli sei mesi, un tentato omicidio ed «un delitto cruento, quello di Gaetano Spera, dalle caratteristiche mafiose», secondo Castello.

Riconoscendo i reati, in concorso, di omicidio e detenzione e porto illegale di arma da fuoco (Vito Arciuli risponde anche dell'aggravante della modalità mafiosa, nda), i Carabinieri della Compagnia di Molfetta, agli ordini del capitano Vito Ingrosso, hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo.

Un cerchio chiuso in tempi rapidi. Così come l'indagine dei detective della Compagnia di Molfetta e dei colleghi della Stazione di Giovinazzo, coordinata dal pm antimafia Isabella Ginefra, che in quattro mesi «nonostante le difficoltà investigative - come ha sottolineato Castello - e l'omertà e la reticenza incontrate durante il percorso» ha fatto luce su un giro di «taglieggiamenti a danno dei pescatori locali e di coloro i quali ormeggiavano le proprie imbarcazioni».

Una sorta di imposizione del pizzo, proprio per «affermare il proprio predominio - secondo il giudice per le indagini preliminari Giovanni Abbattista - tra i porti di Giovinazzo e Santo Spirito». Per loro valeva una regola sola: «Qui ci siamo noi che comandiamo e nessun altro!».

«Volevano dimostrare - ha spiegato ai cronisti il capitano Vito Ingrosso - che loro comandavano nella zona e non c'era scampo per chiunque decidesse di opporsi a questo tipo di predominio». E l'omicidio di Gaetano Spera è nato proprio «dall'imposizione mafiosa - ha spiegato ancora Castello - degli Arciuli», una piccola ma temuta organizzazione che aveva preso il monopolio delle attività di pesca nelle acque antistanti il litorale di Giovinazzo e Santo Spirito.

«Un segnale forte nei confronti di quei soggetti che resistevano. Un regolamento di conti, una vera e propria dimostrazione di potenza - ha continuato Castello - verso chi (come Gaetano Spera, nda) voleva sottrarsi al loro predominio, verso chi non voleva assoggettarsi agli Arciuli».

Non solo Gaetano Spera, però, ucciso il 25 marzo scorso.

Nel mirino degli Arciuli è finito anche un pescatore del posto (di cui non sono state fornite le generalità). Nel corso delle indagini, infatti, è emerso anche un tentativo di omicidio (mai denunciato alle forze dell'ordine, nda) commesso da Vito Arciuli il 17 settembre dello scorso anno nel porto di Giovinazzo.

In quella circostanza, però, l'agguato mortale non fu portato a compimento, poiché, dopo il primo colpo esploso e non andato a segno, l'arma s'inceppò, consentendo quindi alla vittima di mettersi in salvo.

Oggi è stata probabilmente scritta la parola fine. «Abbiamo sgominato un gruppo di giovanissimi emergenti - ha concluso Castello -. E quest'epilogo, grazie all'Arma dei Carabinieri, dà la giusta serenità ai giovinazzesi e mette fuorigioco dei criminali che non si facevano scrupolo di uccidere per imporre la loro predominanza nel territorio».