L'omicidio Fiorentino già nel 2012, ma con lui c'erano dei bambini e il piano fallì

È quanto emerso durante la conferenza stampa: con la sua eliminazione i Di Cosola avrebbero ottenuto il controllo delle estorsioni

mercoledì 15 novembre 2023 12.13
A cura di La Redazione
Nel 2018 ha deciso di autodenunciarsi. Ora il 43enne Michele Giangaspero è accusato di essere l'esecutore materiale del delitto di Claudio Fiorentino, ucciso nel 2014 dal clan Di Cosola che aveva già tentato, due anni prima, di farlo fuori, ma quell'agguato fallì perché con la vittima c'erano dei bambini e i killer non agirono.

Era a bordo di un calesse, il 33enne giovinazzese, quando fu colpito da 9 colpi di pistola. Con il collaboratore, su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Anna Perrelli, sono stati tratti in arresto dai Carabinieri, altri cinque indagati: si tratta del 44enne Mario Del Vecchio (giovinazzese, già detenuto a Reggio Calabria), del 41enne Luigi Guglielmi (già in carcere a Pesaro), e del 35enne Piero Mesecorto (detenuto nel penitenziario di Tolmezzo), entrambi baresi.

Con loro anche Carmine e Pasquale Maisto, di 49 e di 44 anni, nati a Salerno ma residenti da anni a Giovinazzo. Sarebbero tutti appartenenti al clan Di Cosola: in particolare Guglielmi, come reggente della cosca, avrebbe ordinato l'omicidio nell'ambito del controllo del racket delle estorsioni sul territorio locale. La moglie di Fiorentino, infatti, risulta parente del clan Capriati. Dopo il blitz, ha tenuto a ringraziare gli inquirenti per gli arresti che danno un cenno di giustizia all'esecuzione.

Le indagini hanno avuto un impulso alla fine del 2018 con la collaborazione di Giangaspero, che si è autoaccusato dell'omicidio e ha consentito il ritrovamento di parti dell'arma, gettata all'interno di un pozzo della discarica di San Pietro Pago, a Giovinazzo, peraltro sotto sequestro all'epoca dei fatti, da parte degli inquirenti. Che hanno ricostruito un omicidio «preparato accuratamente», come l'ha definito in conferenza stampa Francesco Giannella, coordinatore dell'Antimafia di Bari.

In realtà, sempre i Di Cosola avevano tentato, nel 2012, di uccidere Fiorentino. Ma con lui, in quell'occasione, c'erano dei bambini. Così i malviventi desistettero. E rinviarono l'appuntamento due anni dopo riuscendo nel tragico intento: con la sua morte i Di Cosola avrebbero ottenuto il controllo delle estorsioni. Per preparare l'agguato, il clan si sarebbe servito di due vedette: una fissa, Del Vecchio, residente vicino alla casa dove viveva la vittima, e una mobile, che lo pedinava in auto.

Il 3 giugno 2014, a bordo di una moto, Fiorentino, uscito con il suo calesse lungo la complanare della strada statale 16 bis, in direzione Foggia, venne colpito da 9 colpi di pistola, esplosi da una pistola Micro Uzi. Secondo gli inquirenti a sparare fu Mesecorto, a guidare la moto Giangaspero. «Io ricordo quella scena - sono le parole del collaboratore di giustizia -. Quando arrivai con la moto sotto, vidi bene il viso di Claudio, che si girò di scatto perché sentì la decelerazione del motore».

«Arrivai proprio accanto a lui e quando fu colpito, cadde in avanti, mentre il cavallo continuò a camminare. Lui cadde, però mi è rimasto impresso i colpi dietro la spalle che prese», ha detto. I Di Cosola avevano sempre negato il coinvolgimento nell'omicidio di Fiorentino. Uno degli indagati aveva pure tentato di dimostrare l'estraneità presentando come prova uno scontrino. Che, secondo l'indagato, attestava la sua presenza a Molfetta, e non a Giovinazzo, nelle ore della sparatoria.

Un episodio criminale che scosse la comunità a due anni dall'omicidio di Francesco Grimaldi, il 17 luglio 2012: la sua esecuzione pose fine ad una tregua armata tra i clan. Dinamiche che sono alla base, per la Procura, dell'agguato a Fiorentino. Episodio su cui ora, in attesa degli sviluppi giudiziari, si inizia a fare chiarezza.