Ars Vincit Omnia

L'eccellenza nel mondo dell'arte

“Da Kandinskij a Pollock – La grande arte dei Guggenheim” in mostra a Palazzo Strozzi

Dell'Italia delle eccellenze ce n'è da dire, e anche molto. Una grande risorsa per la fruizione dell'arte è quella delle mostre temporanee organizzate dai musei o da enti privati che propongono sempre temi originali, esponendo opere particolarmente rilevanti provenienti spesso da musei internazionali ed europei, non proprio dietro l'angolo quindi.
Queste danno nuovo lustro non solo all'ambiente nel quale sono esposte, ma all'intero Paese.

Il caso in questione è quello di Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze, una realtà tra le tante, che propone mostre dal taglio sempre moderno, sia per quanto riguarda i temi che per gli allestimenti e i servizi educativi. L'ultima proposta è "Da Kandinskij a Pollock, la grande arte del Guggenheim", curata da Luca Massimo Barbero e organizzata con la collaborazione della Fondazione di Solomon R. Guggenheim di New York. Le opere provengono quindi dalle collezioni di Solomon e Peggy: un viaggio tra New York e Venezia, un incontro delle avanguardie europee e americane del Novecento.
Ricordiamo che proprio Peggy Guggenheim nel 1949 presentò la sua collezione a Palazzo Strozzi per la prima volta, spostandola poi nella sua sede attuale, Venezia.

Ma diamo uno sguardo veloce alla mostra, tramite un'analisi generale sala per sala.

L'esposizione si apre con l'opera "Curva dominante" di Kandinskij. La prima impressione che si ha vedendo la sala introduttiva è quella di una struttura moderna e movimentata, ma allo stesso tempo ordinata. Sembra di essere all'interno del Museo Guggenheim di New York, al quale la struttura è appunto ispirata.
Nella sala successiva le opere di Pablo Picasso, Marcel Duchamp, Max Ernst, Adolph Gottlieb e Arshile Gorky raccontano l'avvento del Surrealismo e delle nuove avanguardie i quali esponenti, durante la Seconde Guerra Mondiale, si spostano dall' Europa all'America, animando quindi la passione di Peggy per questo genere artistico.

Un altro artista fortemente sostenuto dalla collezionista è Jackson Pollock, al quale è dedicata l'intera terza sala della mostra. Il percorso trattato va dal 1942 al 1951, si evince quindi il passaggio dalle opere influenzate dal Surrealismo di Picasso e Mirò, per arrivare all'Action Painting e ai suoi dipinti realizzati con la tecnica del Dripping.
In collegamento a Pollock e agli Action Painters la sala seguente, che tratta l'Espressionismo Astratto e "gli Irascibili" con Willem de Kooning, Sam Francis e Robert Motherwell. Il movimento è nato negli anni '50 a causa dell'esclusione di questi artisti da una mostra organizzata dal Metropolitan Museum of Art di New York. La forte rabbia post-guerra è riflessa nei dipinti, grazie a pennellate forti e cariche.

Se finora le opere esposte erano incentrate sul movimento newyorkese (città cardine per lo sviluppo delle avanguardie in America), la successiva sala tratta l'Europa e il dopoguerra, influenzato maggiormente dallo Spazialismo di Lucio Fontana e Albero Burri e dal movimento "Informale" con Jean Dubuffet. Caratteristica principale è quella dell'utilizzo di elementi di uso comune, come la plastica bruciata con la fiamma ossidrica. Vanno creandosi nuovi concetti spaziali e dimensionali.
Si prosegue con l'arte americana post Espressionismo Astratto, caratterizzata da un cambio di stile, che esclude la tecnica materica per far spazio alla bidimensionalità, con le opere geometriche di Frank Stella (tra gli esposti l'unico artista ancora vivo) e le sculture in movimento di Alexander Calder.
A questo punto c'è un cambio di rotta, soprattutto da un punto di vista allestitivo (e di conseguenza di suggestioni): la sala dedicata a Mark Rothko. Peggy nel 1945 dedicò un'intera mostra a quest'artista, che si differenzia dagli altri per il raggiungimento di una nuova forma di astrazione: la monocromia assoluta. La visione che i suoi quadri esprimono è semplificata al massimo, assumendo un significato soggettivo. Sono comunque testimonianza della tragedia del nascere, vivere o morire.
La sala è buia, con le luci soffuse che illuminano solamente le opere, rendendole quasi tridimensionali. L'atmosfera influenza certamente una reazione personale alle opere.
Una piccola saletta collegata a quest'ultima è dedicata alla proiezione di un video raffigurante un'intervista a Peggy Guggenheim, parlando del suo rapporto con Constantin Brancusi, Ernst, Pollock e Duchamp.

Dopo il "buio di Rothko", l'ultima sala illustra gli anni '60 e l'arrivo della Pop Art. Il movimento, successivo a Fontana, scoppia nel 1968 con Roy Lichtenstein (qui esposto il trittico "Preparativi") e anticipa, grazie all'utilizzo di macchie di colore e linee, la Street Art.

Da questa descrizione si può evincere che le sale si articolano secondo una timeline chiara e precisa, che attraversa il contesto storico e le influenze artistiche secondo un ordine ben studiato e coerente. E così anche l'allestimento: le opere sono esposte su pareti bianche e illuminate con luci direzionali, creando un'atmosfera piuttosto luminosa. Effettivamente molto suggestivo è il passaggio tra la sala buia di Rothko e quella dedicata alla Pop Art, estremamente bianca e quasi accecante, quasi a voler enfatizzare l'inizio di una nuova era artistica.

L'impressione generale è decisamente positiva: raccontare una storia talmente articolata che si estende geograficamente su due continenti, è davvero un complito molto complicato, ma gestito al meglio.
Ovviamente quanto appena scritto è solamente un accenno della mostra che, per contenuti ed opere, è davvero molto vasta. Vale assolutamente la pena visitarla. Non basta di certo parlarne, bisogna viverla con i propri occhi.

Avete tempo fino al 24 luglio 2016 per godere dell'Avanguardia.
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