Professore, statista, cattolico. Il ricordo di Aldo Moro in piazza Sant'Agostino

Presenti alla cerimonia le più alte cariche istituzionali, civili e militari cittadine, il prof. Gaetano Piepoli e Mons. Giuseppe Milillo

giovedì 10 maggio 2018 9.46
A cura di Gianluca Battista
Giovinazzo ha reso ieri omaggio alla memoria di Aldo Moro, lo statista assassinato dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978.

La commemorazione di colui il quale fu Presidente del Consiglio, Ministro della Repubblica, Segretario e Presidente della Democrazia Cristiana è avvenuta in piazza Sant'Agostino, alla presenza del Sindaco, Tommaso Depalma, del Vicesindaco, Michele Sollecito e del Presidente del Consiglio comunale, Alfonso Arbore.

Con loro una rappresentanza del Corpo della Polizia Locale, dell'Associazione Arma Carabinieri, dell'Associazione Nazionale Marinai d'Italia e di quella dell'Aeronautica Militare. Presenti anche ragazzi del Liceo Classico e Scientifico "Matteo Spinelli" e della scuola primaria "Aldo Moro" e "San Giovanni Bosco". Ospiti della cerimonia, Monsignor Giuseppe Milillo ed il professor Gaetano Piepoli, docente di Diritto Privato dell'Università degli Studi di Bari, intitolata proprio a Moro.

Dopo il silenzio, la benedizione e la deposizione della corona ai piedi della targa che ricorda l'intitolazione dell'istituto scolastico di piazza Sant'Agostino allo statista magliese, Mons. Milillo ha ricordato con semplicità la figura di un uomo che può essere definito uno dei padri della Repubblica.

Il sacerdote ha rivolto un pensiero agli uomini della scorta che morirono nell'agguato delle BR il 16 marzo di quell'anno ed ha delineato alcuni tratti salienti della personalità di Aldo Moro, il quale «pregava ogni giorno affinché le sue fossero buone idee» per migliorare le sorti del Paese che lui amava tanto. L'aspetto dell'uomo credente, di forte formazione cattolica è ritornato quando Mons. Milillo ha ricordato la sua visita a Giovinazzo nel 1976, in Villa Comunale, quando Moro gli chiese di pregare per suo fratello e per la politica tutta poiché «senza Dio non si può far nulla di buono».

Moro cattolico e democristiano, quindi, in preghiera a Roma, tutte le mattine prima di andare in Parlamento, nella chiesa di santa Chiara, in piazza dei Giochi Delfici, come ricordato da Michele Sollecito.

Un uomo di una levatura internazionale, con uno sguardo ed un'ampiezza di pensiero che lo potarono a guardare al Partito Comunista Italiano come un interlocutore a cui dare credibilità per le future sorti del Paese. Quasi normale oggi, molto più difficile allora, con una netta separazione ideologica.

Appassionato il ricordo del prof.Piepoli, che ha tracciato il quadro dell'accademico, dell'uomo di cultura, sempre impegnato sin da giovane nello studio senza mai essere un «secchione», perché illuminato, intelligente ben al di sopra della media. Moro uomo della cultura, sin da quando nel lontano 1958, da Ministro della Pubblica Istruzione ispezionò la scuola elementare "Mazzini" di Bari, dove Piepoli era un giovanissimo studente, per rimanervi l'intera mattinata (si immagini oggi qualcosa di simile, nda).

«Il rapimento di Moro del 16 marzo 1978 - ha rimarcato il giusprivatista - è l'equivalente di un colpo di Stato, dell'invasione dei carri armati sovietici a Praga nel 1986». Un colpo di Stato di autoproclamatisi "difensori del proletariato", in realtà, in molti casi annoiati borghesi che giocarono alla guerra civile.

Piepoli ha altresì sottolineato come Moro, a soli 30 anni, fu chiamato nel 1946 a far parte dell'Assemblea Costituente, confrontandosi senza timori di sorta con giganti come Benedetto Croce, Palmiro Togliatti, Giorgio La Pira e don Giuseppe Dossetti. Il politico pugliese è dunque "padre della Repubblica" a tutti gli effetti, per ciò che fu nel dopoguerra, ma soprattutto per quello che trasmise al Paese tutto negli anni che poi lo portarono alla morte, agnello sacrificale sull'altare di coloro i quali non ne compresero la statura.

«Moro ha sempre vissuto del suo lavoro - ha ricordato Piepoli -. Era un professore e non doveva vivere di politica ed ha continuato ad insegnare sempre. Oggi si tende a dividere - ha detto con forza il docente universitario -, mentre il grande messaggio che ci arriva da Moro è quello di un Paese unito. Lui spese tutta la sua vita affinché forze diverse si riconoscessero in un'unica nazione. Bisogna che i vostri insegnanti - ha chiosato rivolgendosi ai ragazzi presenti in piazza Sant'Agostino - vi aiutino a leggere Aldo Moro, i suoi scritti, i suoi discorsi di una limpidezza unica».

Gli ha fatto eco il Sindaco, Tommaso Depalma, il quale ha ricordato le piccole miserie della politica nazionale contemporanea al cospetto di un gigante della storia nazionale, unito nel pensiero del primo cittadino a personalità quali Amintore Fanfani, Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, diversissimi e lontanissimi ideologicamente, ma uniti da quella visione della nazione che sapeva guardare a lungo termine e mai all'immediato o peggio al personale.

«Moro - ha detto Depalma - ha pagato a caro prezzo la sua idea di "compromesso storico", di nazione che non si chiude su se stessa. Insieme a lui - ha chiosato - è giusto ricordare tutte le vittime del terrorismo di quegli anni e della mafia, come Peppino Impastato, perché persone che avevano un'alta idea della società civile».

La giornata di ieri non solo ha tracciato il quadro di una personalità che ha fatto inequivocabilmente la storia della Repubblica, ma ha anche richiamato tutti i giovinazzesi e più ampiamente gli italiani, a fare un esame di coscienza su quanto poco abbiamo imparato da quella vicenda. Il corpo accartocciato del "Presidente", come tutti lo chiamavano, nel bagagliaio della famigerata Renault 4 è stata forse l'istantanea che ha certificato la fine di una Italia nuova, che avrebbe accorciato le distanze tra le sue diverse anime e sarebbe diventata una nazione molto più considerata anche a livello internazionale di quanto non lo sia in questa fase storica.

E la beffa peggiore è rappresentata dal vedere che molti dei carnefici di Aldo Moro sono oggi liberi di raccontare la loro raccapricciante verità, senza mai aver dato alcun segno di pentimento, quasi che a quell'idea finta-rivoluzionaria si possa dare una minima dignità.
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