Cesare Battisti
Cesare Battisti
Il Commento

Libiamo ne' lieti calici

La nostra analisi dopo l'arresto di Cesare Battisti

Non ride più Cesare Battisti. Non ha calici da alzare davanti a qualche fotoreporter. Quei calici che oggi alziamo virtualmente noi dopo il suo arresto. Dietro la sua storia i morti ammazzati per mano sua e dei suoi "compagni" di follia, le vite spezzate senza un perché, quelle rovinate per sempre e il dolore immane di chi è rimasto ed ha dovuto fare i conti con una realtà crudissima.

Da ieri molti italiani si sono tolti un grosso peso dallo stomaco, fuor di retorica, stanchi di essere sbeffeggiati da un criminale che ha goduto di tantissime coperture. Perché, a pensarci bene, quelli come il terrorista comunista hanno avuto ed hanno anche oggi amicizie e compiacenze non solo all'estero. Esplicite e più spesso sussurrate nei salotti buoni del nostro malandato Paese.

Fa bene il Corriere.it a ricordare che sono ancora una quarantina le primule rosse in giro per il mondo. Tra di essi diversi brigatisti, Alessio Casimirri tra tutti, nel gruppo di fuoco che trucidò la scorta di Moro in via Fani, Giorgio Pietrostefani, leader di Lotta Continua, e finanche Manlio Grillo e Achille Lollo, due dei tre autori del rogo di Primavalle in cui morì pure un bimbo di 8 anni, per i quali il reato è beffardamente prescritto. Figure di uomini e donne rimasti impuniti, che si sono goduti una vita serena, quella vita che per senso di giustizia non sarebbe dovuta spettar loro e che certamente è toccata ai familiari delle loro innocenti vittime.

La cosiddetta "dottrina Mitterand" (che voleva non estradati quelli che per noi erano terroristi, solo perché nel Paese richiedente vi era un sistema giudiziario che non corrispondeva all'idea «che Parigi - testuale - ha delle libertà») ha fatto danni enormi alla nostra nazione, al tentativo di chiudere davvero i conti con un passato sporco di sangue, basti pensare che la maggior parte dei latitanti vive ancora oltralpe.

Ma la nostra riflessione non può non essere più profonda e ricordare a noi stessi e a voi lettori che alcuni Governi stranieri di precisi orientamenti politici hanno dato talvolta ospitalità e protezione a criminali che si erano ammantati di ideologia.

Le medaglie per l'arresto se le metteranno al petto il Governo italiano in carica, il Ministro Salvini lo ha già fatto con una diretta Facebook e svariate foto come nel suo stile, magari anche Minniti ribadirà che aveva iniziato un lungo lavoro quando lui era a capo del dicastero, ma resta forte una sensazione in chi osserva i fatti dall'esterno: senza l'ausilio di un Esecutivo brasiliano volitivo, sebbene a volte pericolosamente contraddittorio, come quello di Jair Bolsonaro, niente sarebbe stato possibile. Va ammesso per chiarezza, per liberarci da pregiudizi.

Plauso quindi all'intelligence, ai funzionari silenziosi brasiliani ed a quelli agli Esteri ed all'Interno nostrani che hanno ben operato con l'Interpol, ma anche consapevolezza che per anni, probabilmente, non c'è stata la volontà politica vera di risolvere questa situazione. Anche nel nostro Paese, come testimoniano alcune deliranti manifestazioni di solidarietà al terrorista delle scorse ore ed assordanti silenzi.

Battisti deve avere ogni garanzia, come la grande tradizione giuspenalistica italiana ci ha insegnato (se ne facciano una ragione in Francia), ma dovrà scontarla tutta in carcere quella pena, senza correre il rischio di ritrovarcelo tra qualche anno in conferenze pubbliche, magari in atenei, in cui racconterà a giovani studenti la sua visione degli anni '70, della lotta armata, della rivolta contro lo Stato come missione per un Paese migliore.

No, non ci deve essere asilo per quelli come lui, né per quelli di colore opposto (aspettiamo ancora giustizia piena e verità definitive sulle stragi di Bologna e piazza Fontana, ad esempio). La teoria dei "compagni che sbagliano", della riabilitazione postuma e grottesca di chi attentò all'assetto democratico della nazione, operata in taluni ambienti solo a parole "illuminati", non deve aver luogo. Questa volta no.

Ma nemmeno noi possiamo scappare dalle nostre responsabilità di cittadini, perché ne abbiamo tante. Abbiamo consentito ad intere generazioni di classi dirigenti del Paese di banchettare sulle nostre paure, sull'odio che tutt'oggi (sì, tutt'oggi) divide le opposte fazioni. Una vera riflessione comune su quegli anni non è stata quasi mai fatta e quando è stata operata da alcuni storici è stata confinata, è divenuta di nicchia, senza mai davvero sfociare in un sentimento nazionale condiviso che invece caratterizza altre democrazie occidentali.

Gli anni '70 sono stati slancio e orrore, passione politica genuina e azione sanguinaria, ma vanno finalmente analizzati, compresi ed archiviati come periodo che appartiene alla storia. Senza sconti per nessuno, ovviamente, ma in maniera profonda, corretta, scevra da idee, basandosi sui fatti e superando gli steccati. Non dobbiamo raccontarci le verità che vogliamo sentirci raccontare.

Se resteremo ancora divisi su quella che fu in realtà una guerra civile a bassa intensità, non riusciremo mai a costruire l'Italia del futuro e continueremo ad esser deboli.

Libiamo ne' lieti calici, proprio come nella "Traviata", anche solo per ricambiare la macabra provocazione subita. Perché, sebbene in ritardo di 37 anni, per una volta i buoni hanno vinto sul cattivo.

Ma da domani sarà tempo di riflessione e poi, si spera, di nuove consapevolezze.
  • Cesare Battisti
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